LA VERA STORIA DEL CIOCCOLATO
Per la maggior parte di noi, il cioccolato è molto più che
un semplice alimento divenuto parte integrante della dieta occidentale. È anche
sinonimo di piacere seducente e appagante, può offrire rifugio affettivo e
persino creare dipendenza al pari altre sostanze.
Tuttavia, dietro la sua immagine edulcorata e romantica si
cela una storia fatta di crudeltà, abusi, schiavitù e cupidigia.
In Costa d’Avorio, Ghana, Mali, ci sono persone che ad oggi
non sanno dove vadano a finire e a cosa servano i succosi e carnosi semi di
cacao che essi stessi coltivano in condizioni di indigenza e sfruttamento,
imbarcati a migliaia di tonnellate tutti i giorni verso l’Occidente.
La pianta del cacao, il Theobroma, cresce
principalmente in clima equatoriali ed estremamente umidi. Ma ai suoi antipodi,
in base ai reperti ritrovati, sappiamo che cresceva solo nelle fitte foreste
pluviali del Centroamerica e del Messico meridionale. L’albero ha come habitat naturale
un terreno circondato da banani, patate dolci
e manioca, i quali offrono la giusta ombra e un pacciame spugnoso che
trattiene l’umidità e da agio a piccoli insetti impollinatori del delicato
fiore del cacao.
La storia del cioccolato infatti, inizia circa 3000
anni fa, con un popolo meso-americano, gli olmechi. Le donne
raccoglievano i frutti estraendo i semi polposi e schiacciandoli fino a
ottenere una sostanza grassa e appiccicosa, che miscelata ad acqua e amido,
veniva dispensata ai membri dell’élite. Era ritenuta una bevanda magica:
rinvigorente, energizzante e persino in grado di rimuovere la paura dal cuore
dei guerrieri.
Poi fu la volta dei Maya. Gli storici non sanno dire
esattamente se gli olmechi ne fossero i predecessori. Sta di fatto che la
civiltà olmeca sparì misteriosamente nel periodo in cui i Maya presero il
controllo della regione. La civiltà Maya, occupava le terre fertili del
Guatemala, Belize, Honduras e del Messico. Qui era diffusa la specie del seme
di cacao chiamata Criollo, una varietà preziosissima e ricercata ancora
dai maitre chocolate. Le bevande al cioccolato dei maya si chiamavano
CACAHUATL, ossia “acqua di cacao” : i semi messi in ammollo, venivano aerati,
macinati e poi mischiati ad una serie di spezie e aromi come peperoncino,
vaniglia, fiori commestibili. Solo gli esponenti della nobiltà potevano gustare
la bevanda degli dei, che doveva avere una bella schiumetta in superficie: una
vera squisitezza!
Nel IX secolo d.c. l’impero Maya conobbe la massima espansione e assieme ad essa, cupidigia, guerre, degrado ambientale, calamità naturali, persino una rivolta della classe operaia che condusse…al declino totale. Oggi sopravvive un gruppo sparuto di Maya.
Cristoforo Colombo conobbe alcuni discendenti dei Maya nel
1502. Egli era alla ricerca di ricchezze e terre, non di esperienze culturali.
Tuttavia la sua attenzione fu catturata da delle piroghe piene di semi a forma
di mandorla a cui i Maya davano moltissima importanza. Ma Colombo non aveva
ancora fatto i conti con un’altra civiltà: gli aztechi. Essi non solo
avevano preso possesso delle regioni dei Maya, ma anche della loro cultura,
tradizioni e sì, anche del cacao. Capeggiati dal dispotico e opulento
Montezuma, gli aztechi ignoravano che al di là dell’oceano vi fossero altre
civiltà. Tuttavia non avevano nulla da invidiare: città stupende, fini sistemi
di acquedotti, commercio fiorente. Purtroppo ciò non durò molto. Dopo vent’anni
di impero Montezuma dovette fare i conti con il colonialismo degli spagnoli.
Sotto il regno di Carlo V d’Asburgo, i conquistadores sbarcarono nel
1519 in America, capeggiati dallo spietato Hérnan Cortes. Con l’apparente scopo
di convertire al cristianesimo le popolazioni autoctone (che loro chiamavano indios)
del Nuovo Mondo, gli spagnoli di Cortes compirono massacri senza precedenti
arrivando a Vera Cruz, la capitale dell’impero azteco affrontando direttamente
Montezuma e i suoi alleati. Il monarca azteco credette così alla profezia che
da decenni gli aztechi custodivano: l’impero azteco era protetto dagli dei, ma
un giorno sarebbero arrivati degli uomini bianchi di natura divina. E così
Montezuma, suo malgrado fu condannato insieme a tutto il suo popolo, a una
cieca devozione agli spagnoli, che non solo convertirono tutti gli indios al
cristianesimo (con forza e torture), ma anche compresero tutto il valore dei
semi di cacao e lo portarono olteoceano. Cortes infine rase al suolo la città e
l’impero azteco fu cancellato per sempre.
In Spagna, i semi di cacao e la bevanda magica da essi ottenuta ebbe grande fama. Il burro di cacao veniva usato per guarire le ustioni, mentre alcuni medici lo consigliavano come ricostituente dopo la febbre. Sta di fatto che la richiesta dei semi divenne incessante così come aumentava la richiesta di manodopera nel Nuovo Mondo. Centinaia di migliaia di indios, se non milioni erano schiavizzati e dovettero soccombere al vaiolo, morbillo, malattie veneree e alle condizioni stremanti di lavoro. Qualche eccliesiasta tentò di fermare queste atrocità ma senza risultato. Quando tutti gli indios morirono- si trattò di un veri e proprio genocidio- iniziò la tratta degli schiavi africani, i quali venivano rapiti e esportati oltreoceano per andare a sostituire gli indios nelle Americhe. Nel frattempo, migliaia di schiavi africani erno già impiegati nei Caraibi per la produzione di zucchero. Potendo quindi contare su una riserva illimitata di zucchero e cacao, il consumo di cioccolato conobbe un’ulteriore espansione. Il cioccolato arrivò in Francia, Austria, Germania, Svizzera e Gran Bretagna. A Londra arrivò quasi contemporaneamente a tè e caffè, dove iniziò a essere degustato anche dalla classe mercantile, grazie ai costi più bassi. Nel frattempo filosofi come Rosseau, Locke, Voltaire contestavano la leggittimità morale della schiavitù.
La produzione di cacao infatti si basava su un sistema
orribile chiamato commercio triangolare: le navi salpavano dall’Europa per
arrivare in Africa dove scaricavano merci e armi. Da qui ripartivano cariche di
esseri umani, dirette verso le Americhe. Durante il tragitto ne morivano a
centinaia e venivano gettati nell’oceano Atlantico durante la traversata anche
se erano ancora vivi ma malati. Durante i 400 anni di schiavitù, si stima che
siano stati mercificati tra i 12 e i 15 milioni di africani, seguendo un
sistema ben organizzato e approvato dalla Chiesa. La domanda incessante di
cioccolato dall’Europa esaurì presto le piantagioni del Messico e portò alla
comparsa di nuove in Giamaica, Venezuela, Brasile e persino nelle Indie
Occidentali. Parallelamente comparvero parassiti della pianta che
compromettevano la produzione.
Fu così che nell’800 si arrivò a spostare le produzioni in
Africa, in quei Paesi che oggi conosciamo come Costa d’Avorio, Mali, Camerun.
In Europa infatti, alcuni imprenditori, soprattutto in Gran Bretagna, Austria e
Paesi Bassi, fondarono delle piccole industrie del cioccolato che gettarono le
basi per diventare delle odierne multinazionali. All’epoca anche la gente
comune poteva acquistare il cioccolato nelle farmacie e nelle drogherie, doveva
aveva un prezzo davvero irrisorio. All’inzio però non era buono come lo
conosciamo oggi: aveva il 50% di grassi sull’intero e pertanto non adatto a
tutti i gusti. Finchè, un certo Conrad Van Houten, trovò la formula esatta per
stabilire l’esatta quantità di grasso (burro di cacao) da lasciare nel prodotto
finale. Sull’esempio di Van Houten, Fry perfezionò la tecnica ottenendo dei
cioccolatini che si scioglievano in bocca. Ci volle poco tempo affinchè un
altro inglese, Cadbury, ne divenne maestro, ignorando che il cacao acquistato
dai portoghesi, in realtà provenisse da una realtà di abusi e sfruttamento in
un’isola africana, Sao Tomè e Principe. Passarono quasi 50 anni perché, subito
prima del processo di diffamazione, William Cadbury potesse recarsi di persona
a vedere cosa realmente accadesse in quell’isola. Fu caldamente invitato dai
portoghesi a non svelare i fatti e nel frattempo, conobbe un’altra regione in
cui sarebbe stato possibile spostare le piantagioni: la Costa d’Oro
(attuale Ghana). Molti giornalisti cercarono intanto di andare a fondo nella
questione e far conoscere al mondo intero la verità agghiacciante sul
cioccolato.
Agli inizi del ‘900, negli USA, un giovane Milton Hershey, con un po’di fortuna ed esperimenti
sbagliati, scrisse un capitolo della storia del cioccolato. Partendo da un capitale di 150 dollari, Milton Hershey, dopo una serie di esperimenti falliti (aveva inizialmente una piccola produzione di caramelle), sbancò creando degli ottimi cioccolatini a base di latte. Questa geniale trovata, gli consentì di arricchirsi così tanto, da riuscire a costruire un’intera città in Pennsylvania che portava il suo stesso nome: in soli due anni fu avviato il più grande e ardito esperimento sociale dell’epoca. I 1200 lavoratori della sua fabbrica avevano a disposizione delle case in cui abitare con le proprie famiglie, parchi, piscine, sale giochi oltre ad altri piccoli benefits. In cambio però lavoravano sodo, anche 100 ore settimanali, senza pause e senza lamentarsi. Alla fine del 1910 Hershey era diventato una leggenda e la sua sfrenata “generosità” era disprezzata dai capitalisti ma lodata da filosofi e attivisti. Nel frattempo, in Gran Bretagna, la tratta degli schiavi- ufficialmente abolita nel 1845- era stata messa al bando da rigide leggi. Eppure essa continuava ad esistere sotto altre forme: nel 1918 nei Caraibi continuavano ad arrivare operai non retribuiti chiamato “coolie”, donne e uomini fuggiti dalle carestie dei loro Paesi per andare a lavorare come “apprendisti” nelle piantagioni del cacao. La realtà era tutt’altra: questa gente veniva trasportata come si fa col bestiame, incatenata, affamata e persino marchiata. Era una schiavitù ma con un nome diverso.
Via via che il governo inglese riduceva i dazi sui semi di cacao
per dare più slancio all’industria del cioccolato, la Gran Bretagna permise
anche ai suoi fornitori delle colonie caraibiche di comprare vaste zone delle
terre coloniali della Corona (quasi tutte di foreste pluviali vergini) e di
deforestarle per lasciare spazio agli alberi di Theobroma.
Nel anni ’30 del Novecento, gli operai di Hershey insorsero,
chiedendo paghe e orari di lavoro appropriati e più umani, oltre ad
assicurazione ed indennità. Il magnate del cioccolato non aveva alcuna idea di
come gestire la situazione e lasciò la cosa in mano agli avvocati. La cosa
degenerò e ci furono importanti episodi di violenza. Giunto ormai al tramonto
dei suoi giorni, Hershey, che durante la guerra forniva milioni di barrette al
cioccolato ai soldati americani, si ritrovò faccia a faccia con un altro astro
emergente dell’industria del cioccolato: Forrest Mars, il figlio di Frank Mars,
che già aveva fondato un impero negli Usa negli anni ’20. Forrest era un visionario:
voleva creare dei cioccolatini che si sciogliessero in bocca e non in mano. Fu
così che nacquero i famosi “M&Ms”, dove le due m stavano per Mars e Murrie
(il braccio destro di Hershey). La Mars si è espansa tantissimo negli anni,
arrivando ad acquisire anche aziende produttrici di cibi per animali, come Whiskas,
Sheba, Pedigree. E negli stessi anni la Nestlè, la major produttrice di caffè per i
soldati in guerra, fu boicottata perché pubblicizzava in modo aggressivo il
latte in polvere per neonati, contribuendo alla drastica riduzione dell’allattamento
al seno. Il boicottaggio durò dal 1977 al 1984, anno in cui la Nestlè si
riprese inglobando i prodotti del marchio Maggi, della Libby e della San
Pellegrino, oltre alla Friskies.
La Costa d’Oro, nel 1920 era il principale Paese esportatore
di semi di cacao; nel 1956 ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenendo
il nome di Ghana. Il loro leader, Nkrumah, sottrasse agli inglesi il controllo
del mercato del cacao ma negli anni 70, quando il prezzo dei semi di cacao scese
in picchiata, Nkrumah venne estromesso e le sue promesse vennero soppiantate da
cinismo e delusione. Anziché gestire la cosa in modo accorto, molti agricoltori
del Ghana, si limitarono a disboscare più foreste pluviali abbandonando le
fattorie. Con i disboscamenti la siccità divenne gravissima e così gli incendi
agli inizi degli anni ’80 distrussero la gran parte delle piantagioni di cacao
del Ghana. Le industrie del cioccolato tirarono dritti e rivolsero le loro
attenzioni al Paese accanto, la Costa d’Avorio.
Felix Houphouet, nacque nel 1905 da una famiglia di proprietari terrieri. Negli anni trenta lasciò la medicina per dedicarsi alla cura delle piantagioni di Theobroma. Fu spronato a gettarsi nella politica
dalle strategie discriminatorie della Francia che ancora controllava il Paese e obbligava gli autoctoni a lavorare nelle piantagioni…gratuitamente. Nel 1944 nacque un sindacato (SAA) che mise non pochi bastoni fra le ruote ai francesi. Si susseguirono una serie di scontri civili, molti dei quali repressi nel sangue da parte dei francesi mentre, Houphouet, guadagnava consensi alle elezioni e non solo tra gli ivoriani. Tuttavia rimaneva un sostenitore della sinistra francese e questo, gli consentì di avere una certa immunità diplomatica: nel 1956 Feliz H. era riuscito a diventare il primo africano a detenere il portafoglio ministeriale nel governo francese. Nel 1960 la Costa d’Avorio divenne una nazione indipendente, di cui Houphouet ne fu il primo presidente. Il suo fu un governo dittatoriale perché non c’era libertà di stampa né democrazia. Venne soprannominato Le Vieux, e mise letteralmente al lavoro la Costa d’Avorio. Accadde il miracolo economico: le foreste pluviali si trasformarono dal giorno alla notte in fattorie dedite alla produzione di cacao, in cui convolarono moltissimi stranieri da territori vicini (Mali, Burkina Faso, Guinea). Tribù di etnie differenti si ritrovarono a lavorare fianco a fianco – non senza malumori. Il pil della Costa d’Avorio, raddoppiò nei 10 anni successivi all’indipendenza, ma la gente voleva di più e in fretta. Nuove infrastrutture trasformarono il Paese in uno Stato moderno. San Pedro divenne uno dei porti più importanti dell’Africa occidentale. Abdjan divenne una delle città più luccicanti del mondo in via di sviluppo. Nel frattempo il prezzo del cacao era altalenante: negli anni 80 diminuì vertiginosamente e Le Vieux fece del suo meglio per manipolare il commercio internazionale. Purtroppo nel 1987, dopo la sua ultima più disperata offerta per salvare la ricchezza ivoriana, la Costa d’Avorio fu dichiarata insolvente, incapace di restituire gli ingentissimi debiti contratti. Le Vieux bloccò le spedizioni dei semi di cacao ponendo fine alle attività economiche della nazione. Fondò anche un ente chiamato CAISTAB per garantire un prezzo base per i coltivatori. La liberalizzazione trionfò per tutti gli anni 80-90 mentre il prezzo del cacao saliva e scendeva senza riguardi. Per tutta l’ultima parte del Novecento la Costa d’Avorio tentò di salvare il miracolo economico: alla fine del millennio era una delle nazioni più indebitate della Terra. I coltivatori sprofondarono in una povertà senza eguali e fecero ricorso anche loro, alla schiavitù.
Da semplici coltivatori, molti autoctoni ivoriani si trasformarono in veri e propri contrabbandieri di forza lavoro: bambini e adolescenti, spesso letteralmente rapiti nelle zone di frontiera o con la promessa di un futuro radioso. Alcune figure politiche, come Abdoulaye Macko, di origini maliane, hanno provato negli anni a denunciare e combattere il fenomeno dei pisteur. Secondo fonti certe, gli agricoltori ivoriani pagavano questi contrabbandieri per avere manodopera, poco importava se si trattava di bambini o giovani ragazzi. Una volta giunti nelle fattorie, questi ragazzi venivano messi ai lavori forzati, ospitati nelle stalle accanto agli animali e nutriti con banane e avanzi di cibo quando disponibili. Molti di essi si ammalavano sia per denutrizione che per gli abusi subiti non solo durante le ore di lavoro infinite. La maggior parte di loro non è mai tornata a casa come invece era stato promesso. Ogni volta che Macko chiedeva di poter far visita alle fattorie del cacao, il permesso gli veniva negato; chiedeva dunque che la polizia lo scortasse. La polizia spesso era riluttante: evidenza che era coinvolta e corrotta in qualche modo. Nonostante tutto Macko è riuscito a salvare una parte di questi giovanissimi, alcuni in condizioni pietose, ma non ce l’ha fatta con altri. Le prime rivelazioni sulle condizioni degli schiavi bambini arrivarono negli anni 2000 sui canali inglesi. L’opinione pubblica si risvegliò e migliaia di spettatori sommersero di indignazione le principali industrie di cioccolato, minacciandole di boicottaggio. La Costa d’Avorio rispose insabbiando tutto. Le varie ONG si mobilitarono creando dei programmi di aiuto alle popolazioni del Mali (Paese da cui provenivano la maggior parte dei bambini schiavi) e Save the Children creò un’unità di aiuto a Sikasso, che però non diede i frutti sperati a causa della disperazione delle gente. Nel frattempo Macko perse il suo posto di console ed è rimasto disoccupato. La schiavitù dei bambini negli anni si è ridotta ma è un fenomeno che ancora sussiste: un circolo vizioso alimentato dalla disperazione, dalla povertà, e dal tacito accordo tra governo e multinazionali.
Oggi, benchè molta strada in termini di diritti sia stata battuta, il cioccolato è ancora un grosso privilegio per i Paesi Occidentali.
Nuovi Stati si sono fatti avanti nella sua produzione – come l’Indonesia- ma
con condizioni di lavoro e di vita al di sotto di qualsiasi lavoratore
sottopagato dell’Europa. Oltre a ciò, bisogna considerare come i cambiamenti
climatici possano aver modificato la sua geopolitica. Si prevede che nel 2038
il cioccolato sarà un alimento super-insostenibile: per crescere infatti, le
fave di cacao hanno bisogno di molta pioggia, ma le aree tropicali piovose sono
in diminuzione. Se si puntasse sulla ricerca e sull’impiego sostenibile
e dignitoso dei lavoratori autoctoni, forse sarà possibile ancora degustare la
nostra tavoletta preferita anche tra 50 anni.
Per questo motivo, ognuno di noi, può scegliere di
acquistare cioccolato proveniente dal commercio equo-solidale: un piccolo costo
in più ma un valore reale che rispetta l’umanità.
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Fonte: “Cioccolato Amaro- il lato oscuro del dolce più
seducente” (Carol Off)