lunedì 10 luglio 2023

 LA VERA STORIA DEL CIOCCOLATO 


Per la maggior parte di noi, il cioccolato è molto più che un semplice alimento divenuto parte integrante della dieta occidentale. È anche sinonimo di piacere seducente e appagante, può offrire rifugio affettivo e persino creare dipendenza al pari altre sostanze.

Tuttavia, dietro la sua immagine edulcorata e romantica si cela una storia fatta di crudeltà, abusi, schiavitù e cupidigia.

In Costa d’Avorio, Ghana, Mali, ci sono persone che ad oggi non sanno dove vadano a finire e a cosa servano i succosi e carnosi semi di cacao che essi stessi coltivano in condizioni di indigenza e sfruttamento, imbarcati a migliaia di tonnellate tutti i giorni verso l’Occidente.



La pianta del cacao, il Theobroma, cresce principalmente in clima equatoriali ed estremamente umidi. Ma ai suoi antipodi, in base ai reperti ritrovati, sappiamo che cresceva solo nelle fitte foreste pluviali del Centroamerica e del Messico meridionale. L’albero ha come habitat naturale un terreno circondato da banani, patate dolci  e manioca, i quali offrono la giusta ombra e un pacciame spugnoso che trattiene l’umidità e da agio a piccoli insetti impollinatori del delicato fiore del cacao.

La storia del cioccolato infatti, inizia circa 3000 anni fa, con un popolo meso-americano, gli olmechi. Le donne raccoglievano i frutti estraendo i semi polposi e schiacciandoli fino a ottenere una sostanza grassa e appiccicosa, che miscelata ad acqua e amido, veniva dispensata ai membri dell’élite. Era ritenuta una bevanda magica: rinvigorente, energizzante e persino in grado di rimuovere la paura dal cuore dei guerrieri.

Poi fu la volta dei Maya. Gli storici non sanno dire esattamente se gli olmechi ne fossero i predecessori. Sta di fatto che la civiltà olmeca sparì misteriosamente nel periodo in cui i Maya presero il controllo della regione. La civiltà Maya, occupava le terre fertili del Guatemala, Belize, Honduras e del Messico. Qui era diffusa la specie del seme di cacao chiamata Criollo, una varietà preziosissima e ricercata ancora dai maitre chocolate. Le bevande al cioccolato dei maya si chiamavano CACAHUATL, ossia “acqua di cacao” : i semi messi in ammollo, venivano aerati, macinati e poi mischiati ad una serie di spezie e aromi come peperoncino, vaniglia, fiori commestibili. Solo gli esponenti della nobiltà potevano gustare la bevanda degli dei, che doveva avere una bella schiumetta in superficie: una vera squisitezza!

Nel IX secolo d.c. l’impero Maya conobbe la massima espansione e assieme ad essa, cupidigia, guerre, degrado ambientale, calamità naturali, persino una rivolta della classe operaia che condusse…al declino totale. Oggi sopravvive un gruppo sparuto di Maya. 


Cristoforo Colombo conobbe alcuni discendenti dei Maya nel 1502. Egli era alla ricerca di ricchezze e terre, non di esperienze culturali. Tuttavia la sua attenzione fu catturata da delle piroghe piene di semi a forma di mandorla a cui i Maya davano moltissima importanza. Ma Colombo non aveva ancora fatto i conti con un’altra civiltà: gli aztechi. Essi non solo avevano preso possesso delle regioni dei Maya, ma anche della loro cultura, tradizioni e sì, anche del cacao. Capeggiati dal dispotico e opulento Montezuma, gli aztechi ignoravano che al di là dell’oceano vi fossero altre civiltà. Tuttavia non avevano nulla da invidiare: città stupende, fini sistemi di acquedotti, commercio fiorente. Purtroppo ciò non durò molto. Dopo vent’anni di impero Montezuma dovette fare i conti con il colonialismo degli spagnoli. Sotto il regno di Carlo V d’Asburgo, i conquistadores sbarcarono nel 1519 in America, capeggiati dallo spietato Hérnan Cortes. Con l’apparente scopo di convertire al cristianesimo le popolazioni autoctone (che loro chiamavano indios) del Nuovo Mondo, gli spagnoli di Cortes compirono massacri senza precedenti arrivando a Vera Cruz, la capitale dell’impero azteco affrontando direttamente Montezuma e i suoi alleati. Il monarca azteco credette così alla profezia che da decenni gli aztechi custodivano: l’impero azteco era protetto dagli dei, ma un giorno sarebbero arrivati degli uomini bianchi di natura divina. E così Montezuma, suo malgrado fu condannato insieme a tutto il suo popolo, a una cieca devozione agli spagnoli, che non solo convertirono tutti gli indios al cristianesimo (con forza e torture), ma anche compresero tutto il valore dei semi di cacao e lo portarono olteoceano. Cortes infine rase al suolo la città e l’impero azteco fu cancellato per sempre.

In Spagna, i semi di cacao e la bevanda magica da essi ottenuta ebbe grande fama. Il burro di cacao veniva usato per guarire le ustioni, mentre alcuni medici lo consigliavano come ricostituente dopo la febbre. Sta di fatto che la richiesta dei semi divenne incessante così come aumentava la richiesta di manodopera nel Nuovo Mondo. Centinaia di migliaia di indios, se non milioni erano schiavizzati e dovettero soccombere al vaiolo, morbillo, malattie veneree e alle condizioni stremanti di lavoro. Qualche eccliesiasta tentò di fermare queste atrocità ma senza risultato. Quando tutti gli indios morirono- si trattò di un veri e proprio genocidio- iniziò la tratta degli schiavi africani, i quali venivano rapiti e esportati oltreoceano per andare a sostituire gli indios nelle Americhe. Nel frattempo, migliaia di schiavi africani erno già impiegati nei Caraibi per la produzione di zucchero. Potendo quindi contare su una riserva illimitata di zucchero e cacao, il consumo di cioccolato conobbe un’ulteriore espansione. Il cioccolato arrivò in Francia, Austria, Germania, Svizzera e Gran Bretagna. A Londra arrivò quasi contemporaneamente a tè e caffè, dove iniziò a essere degustato anche dalla classe mercantile, grazie ai costi più bassi. Nel frattempo filosofi come Rosseau, Locke, Voltaire contestavano la leggittimità morale della schiavitù. 


 

La produzione di cacao infatti si basava su un sistema orribile chiamato commercio triangolare: le navi salpavano dall’Europa per arrivare in Africa dove scaricavano merci e armi. Da qui ripartivano cariche di esseri umani, dirette verso le Americhe. Durante il tragitto ne morivano a centinaia e venivano gettati nell’oceano Atlantico durante la traversata anche se erano ancora vivi ma malati. Durante i 400 anni di schiavitù, si stima che siano stati mercificati tra i 12 e i 15 milioni di africani, seguendo un sistema ben organizzato e approvato dalla Chiesa. La domanda incessante di cioccolato dall’Europa esaurì presto le piantagioni del Messico e portò alla comparsa di nuove in Giamaica, Venezuela, Brasile e persino nelle Indie Occidentali. Parallelamente comparvero parassiti della pianta che compromettevano la produzione.

Fu così che nell’800 si arrivò a spostare le produzioni in Africa, in quei Paesi che oggi conosciamo come Costa d’Avorio, Mali, Camerun. In Europa infatti, alcuni imprenditori, soprattutto in Gran Bretagna, Austria e Paesi Bassi, fondarono delle piccole industrie del cioccolato che gettarono le basi per diventare delle odierne multinazionali. All’epoca anche la gente comune poteva acquistare il cioccolato nelle farmacie e nelle drogherie, doveva aveva un prezzo davvero irrisorio. All’inzio però non era buono come lo conosciamo oggi: aveva il 50% di grassi sull’intero e pertanto non adatto a tutti i gusti. Finchè, un certo Conrad Van Houten, trovò la formula esatta per stabilire l’esatta quantità di grasso (burro di cacao) da lasciare nel prodotto finale. Sull’esempio di Van Houten, Fry perfezionò la tecnica ottenendo dei cioccolatini che si scioglievano in bocca. Ci volle poco tempo affinchè un altro inglese, Cadbury, ne divenne maestro, ignorando che il cacao acquistato dai portoghesi, in realtà provenisse da una realtà di abusi e sfruttamento in un’isola africana, Sao Tomè e Principe. Passarono quasi 50 anni perché, subito prima del processo di diffamazione, William Cadbury potesse recarsi di persona a vedere cosa realmente accadesse in quell’isola. Fu caldamente invitato dai portoghesi a non svelare i fatti e nel frattempo, conobbe un’altra regione in cui sarebbe stato possibile spostare le piantagioni: la Costa d’Oro (attuale Ghana). Molti giornalisti cercarono intanto di andare a fondo nella questione e far conoscere al mondo intero la verità agghiacciante sul cioccolato.

Agli inizi del ‘900, negli USA, un giovane Milton Hershey, con un po’di fortuna ed esperimenti 


sbagliati, scrisse un capitolo della storia del cioccolato. Partendo da un capitale di 150 dollari, Milton Hershey, dopo una serie di esperimenti falliti (aveva inizialmente una piccola produzione di caramelle), sbancò creando degli ottimi cioccolatini a base di latte. Questa geniale trovata, gli consentì di arricchirsi così tanto, da riuscire a costruire un’intera città in Pennsylvania che portava il suo stesso nome: in soli due anni fu avviato il più grande e ardito esperimento sociale dell’epoca. I 1200 lavoratori della sua fabbrica avevano a disposizione delle case in cui abitare con le proprie famiglie, parchi, piscine, sale giochi oltre ad altri piccoli benefits. In cambio però lavoravano sodo, anche 100 ore settimanali, senza pause e senza lamentarsi. Alla fine del 1910 Hershey era diventato una leggenda e la sua sfrenata “generosità” era disprezzata dai capitalisti ma lodata da filosofi e attivisti. Nel frattempo, in Gran Bretagna, la tratta degli schiavi- ufficialmente abolita nel 1845- era stata messa al bando da rigide leggi. Eppure essa continuava ad esistere sotto altre forme: nel 1918 nei Caraibi continuavano ad arrivare operai non retribuiti chiamato “coolie”, donne e uomini fuggiti dalle carestie dei loro Paesi per andare a lavorare come “apprendisti” nelle piantagioni del cacao. La realtà era tutt’altra: questa gente veniva trasportata come si fa col bestiame, incatenata, affamata e persino marchiata. Era una schiavitù ma con un nome diverso.

Via via che il governo inglese riduceva i dazi sui semi di cacao per dare più slancio all’industria del cioccolato, la Gran Bretagna permise anche ai suoi fornitori delle colonie caraibiche di comprare vaste zone delle terre coloniali della Corona (quasi tutte di foreste pluviali vergini) e di deforestarle per lasciare spazio agli alberi di Theobroma.

Nel anni ’30 del Novecento, gli operai di Hershey insorsero, chiedendo paghe e orari di lavoro appropriati e più umani, oltre ad assicurazione ed indennità. Il magnate del cioccolato non aveva alcuna idea di come gestire la situazione e lasciò la cosa in mano agli avvocati. La cosa degenerò e ci furono importanti episodi di violenza. Giunto ormai al tramonto dei suoi giorni, Hershey, che durante la guerra forniva milioni di barrette al cioccolato ai soldati americani, si ritrovò faccia a faccia con un altro astro emergente dell’industria del cioccolato: Forrest Mars, il figlio di Frank Mars, che già aveva fondato un impero negli Usa negli anni ’20. Forrest era un visionario: voleva creare dei cioccolatini che si sciogliessero in bocca e non in mano. Fu così che nacquero i famosi “M&Ms”, dove le due m stavano per Mars e Murrie (il braccio destro di Hershey). La Mars si è espansa tantissimo negli anni, arrivando ad acquisire anche aziende produttrici di cibi per animali, come Whiskas, Sheba, Pedigree. E negli  stessi anni  la Nestlè, la major produttrice di caffè per i soldati in guerra, fu boicottata perché pubblicizzava in modo aggressivo il latte in polvere per neonati, contribuendo alla drastica riduzione dell’allattamento al seno. Il boicottaggio durò dal 1977 al 1984, anno in cui la Nestlè si riprese inglobando i prodotti del marchio Maggi, della Libby e della San Pellegrino, oltre alla Friskies.

La Costa d’Oro, nel 1920 era il principale Paese esportatore di semi di cacao; nel 1956 ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna ottenendo il nome di Ghana. Il loro leader, Nkrumah, sottrasse agli inglesi il controllo del mercato del cacao ma negli anni 70, quando il prezzo dei semi di cacao scese in picchiata, Nkrumah venne estromesso e le sue promesse vennero soppiantate da cinismo e delusione. Anziché gestire la cosa in modo accorto, molti agricoltori del Ghana, si limitarono a disboscare più foreste pluviali abbandonando le fattorie. Con i disboscamenti la siccità divenne gravissima e così gli incendi agli inizi degli anni ’80 distrussero la gran parte delle piantagioni di cacao del Ghana. Le industrie del cioccolato tirarono dritti e rivolsero le loro attenzioni al Paese accanto, la Costa d’Avorio. 

Felix Houphouet, nacque nel 1905 da una famiglia di proprietari terrieri. Negli anni trenta lasciò la medicina per dedicarsi alla cura delle piantagioni di Theobroma. Fu spronato a gettarsi nella politica 


dalle strategie discriminatorie della Francia che ancora controllava il Paese e obbligava gli autoctoni a lavorare nelle piantagioni…gratuitamente. Nel 1944 nacque un sindacato (SAA) che mise non pochi bastoni fra le ruote ai francesi. Si susseguirono una serie di scontri civili, molti dei quali repressi nel sangue da parte dei francesi mentre, Houphouet, guadagnava consensi alle elezioni e non solo tra gli ivoriani. Tuttavia rimaneva un sostenitore della sinistra francese e questo, gli consentì di avere una certa immunità diplomatica: nel 1956 Feliz H. era riuscito a diventare il primo africano a detenere il portafoglio ministeriale nel governo francese. Nel 1960 la Costa d’Avorio divenne una nazione indipendente, di cui Houphouet ne fu il primo presidente. Il suo fu un governo dittatoriale perché non c’era libertà di stampa né democrazia. Venne soprannominato Le Vieux, e mise letteralmente al lavoro la Costa d’Avorio. Accadde il miracolo economico: le foreste pluviali si trasformarono dal giorno alla notte in fattorie dedite  alla produzione di cacao, in cui convolarono moltissimi stranieri da territori vicini (Mali, Burkina Faso, Guinea). Tribù di etnie differenti si ritrovarono a lavorare fianco a fianco – non  senza malumori. Il pil della Costa d’Avorio, raddoppiò nei 10 anni successivi all’indipendenza, ma la gente voleva di più e in fretta. Nuove infrastrutture trasformarono il Paese in uno Stato moderno. San Pedro divenne uno dei porti più importanti dell’Africa occidentale. Abdjan divenne una delle città più luccicanti del mondo in via di sviluppo. Nel frattempo il prezzo del cacao era altalenante: negli anni 80 diminuì vertiginosamente e Le Vieux fece del suo meglio per manipolare il commercio internazionale. Purtroppo nel 1987, dopo la sua ultima più disperata offerta per salvare la ricchezza ivoriana, la Costa d’Avorio fu dichiarata insolvente, incapace di restituire gli ingentissimi debiti contratti. Le Vieux bloccò le spedizioni dei semi di cacao ponendo fine alle attività economiche della nazione. Fondò anche un ente chiamato CAISTAB per garantire un prezzo base per i coltivatori. La liberalizzazione trionfò per tutti gli anni 80-90 mentre il prezzo del cacao saliva e scendeva senza riguardi. Per tutta l’ultima parte del Novecento la Costa d’Avorio tentò di salvare il miracolo economico: alla fine del millennio era una delle nazioni più indebitate della Terra. I coltivatori sprofondarono in una povertà senza eguali e fecero ricorso anche loro, alla schiavitù.

Da semplici coltivatori, molti autoctoni ivoriani si trasformarono in veri e propri contrabbandieri di forza lavoro: bambini e adolescenti, spesso letteralmente rapiti nelle zone di frontiera o con la promessa di un futuro radioso. Alcune figure politiche, come Abdoulaye Macko, di origini maliane, hanno provato negli anni a denunciare e combattere il fenomeno dei pisteur. Secondo fonti certe, gli agricoltori ivoriani pagavano questi contrabbandieri per avere manodopera, poco importava se si trattava di bambini o giovani ragazzi. Una volta giunti nelle fattorie, questi ragazzi venivano messi ai lavori forzati, ospitati nelle stalle accanto agli animali e nutriti con banane e avanzi di cibo quando disponibili. Molti di essi si ammalavano sia per denutrizione che per gli abusi subiti non solo durante le ore di lavoro infinite. La maggior parte di loro non è mai tornata a casa come invece era stato promesso. Ogni volta che Macko chiedeva di poter far visita alle fattorie del cacao, il permesso gli veniva negato; chiedeva dunque che la polizia lo scortasse. La polizia spesso era riluttante: evidenza che era coinvolta e corrotta in qualche modo. Nonostante tutto Macko è riuscito a salvare una parte di questi giovanissimi, alcuni in condizioni pietose, ma non ce l’ha fatta con altri. Le prime rivelazioni sulle condizioni degli schiavi bambini arrivarono negli anni 2000 sui canali inglesi. L’opinione pubblica si risvegliò e migliaia di spettatori sommersero di indignazione le principali industrie di cioccolato, minacciandole di boicottaggio. La Costa d’Avorio rispose insabbiando tutto. Le varie ONG si mobilitarono creando dei programmi di aiuto alle popolazioni del Mali (Paese da cui provenivano la maggior parte dei bambini schiavi) e Save the Children creò un’unità di aiuto a Sikasso, che però non diede i frutti sperati a causa della disperazione delle gente. Nel frattempo Macko perse il suo posto di console ed è rimasto disoccupato. La schiavitù dei bambini negli anni si è ridotta ma è un fenomeno che ancora sussiste: un circolo vizioso alimentato dalla disperazione, dalla povertà, e dal tacito accordo tra governo e multinazionali.  


Oggi, benchè molta strada in termini di diritti sia stata battuta, il cioccolato è ancora un grosso privilegio per i Paesi Occidentali. Nuovi Stati si sono fatti avanti nella sua produzione – come l’Indonesia- ma con condizioni di lavoro e di vita al di sotto di qualsiasi lavoratore sottopagato dell’Europa. Oltre a ciò, bisogna considerare come i cambiamenti climatici possano aver modificato la sua geopolitica. Si prevede che nel 2038 il cioccolato sarà un alimento super-insostenibile: per crescere infatti, le fave di cacao hanno bisogno di molta pioggia, ma le aree tropicali piovose sono in diminuzione. Se si puntasse sulla ricerca e sull’impiego sostenibile e dignitoso dei lavoratori autoctoni, forse sarà possibile ancora degustare la nostra tavoletta preferita anche tra 50 anni.

Per questo motivo, ognuno di noi, può scegliere di acquistare cioccolato proveniente dal commercio equo-solidale: un piccolo costo in più ma un valore reale che rispetta l’umanità.

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Fonte: “Cioccolato Amaro- il lato oscuro del dolce più seducente” (Carol Off)